Un'evoluzione e, insieme, un cambio di prospettiva. La terza vita dei centri commerciali è già attualità. Un tempo luoghi di puro commercio, oggi i mall assolvono sempre più anche una funzione di aggregazione sociale. E, per gli esperti, lo faranno sempre di più, anche nel post pandemia. Gli spazi cambiano e il centro commerciale si ripensa per andare incontro alle nuove abitudini di vita e di consumo. Si punta su intrattenimento e leisure, ma anche su smart working ed e-commerce. E quel che fino a ieri sembrava utopia è (già) realtà.
«Se qualche anno fa mi avessero detto che il motore trainante dei centri commerciali sarebbe diventato l'ultimo vagone, avrei guardato con stupore l'interlocutore. Eppure è quel che è successo e sta accadendo». Parola di Roberto Bramati, presidente di Spazio Futuro e vice del Consiglio nazionale dei centri commerciali (CNCC).In effetti, all’inizio, i centri commerciali erano prettamente luoghi in cui andare a fare la spesa. «Il punto focale era rappresentato dalla GDO alimentare – spiega Bramati –, con una galleria fronte ipermercato. Questa ospitava pochi negozi di servizi utili: dal tacco e chiavi all’erboristeria fino alla piccola farmacia. Inserire la ristorazione pareva impensabile».Poi si è iniziato ad aggiungere qualcosa: una seconda galleria, un livello superiore. «Il cuore restava, però, l’ipermercato: al centro commerciale si andava per fare la spesa. Si parlava di ipermercati ampi, dagli otto ai quindicimila mq: sembrava che, più le dimensioni fossero grandi, più aumentasse il valore del centro. Oggi, invece, si sa che è esattamente il contrario: il massimo del format, sosteneva il patron di Esselunga Caprotti, era tremila mq».
Il 2016 è una data importante nell’evoluzione dei centri commerciali italiani. Viene, infatti, inaugurato Il Centro di Arese. Un progetto che noi di Spazio Futuro conosciamo bene. Ci siamo occupati, infatti, del pilotage, dei servizi pro rata e della direzione artistica dei fronte mall assieme a Design International.«Arese ha "scavalcato la montagna" – afferma Bramati –. Intanto per la sua struttura: nasce come centro aperto e poi viene chiuso. E ciò si ritrova in alcune sue caratteristiche: dalla lunghezza (circa 1 km) alla galleria larghissima, 57 metri contro i "normali" 8. La chiusura è stata una scelta strategica vincente: consente, infatti, una fruizione ottimale in tutte le stagioni». La chiusura ha portato, inoltre, alla possibilità di inserire chioschi con posti a sedere senza per forza recarsi nella food court. La svolta vera, tuttavia, Il Centro la dà in un altro senso. Cioè dando la possibilità di accedere ai negozi anche camminando esternamente, disegnando così un centro commerciale diverso e innovativo. L'antipasto di quel che, in seguito, si è visto nella sua massima espressione a CityLife. Dalla food court si passa alla food hall: uno spazio grande in cui si offrono anche altri servizi. Ciò consente di far vivere questa parte del centro tutto il giorno. L'area non chiude i battenti fuori dagli orari dei pasti. Diventa, piuttosto, un luogo d'incontro, una postazione di studio e lavoro, un'occasione per passare il tempo libero.
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Queste trasformazioni dei centri commerciali sono ancora in corso: un esempio è Il Fiordaliso di Rozzano, nell’hinterland milanese. Gli spazi della GDO alimentare si restringono e viene creata una nuova galleria. «L’ipermercato – evidenzia Bramati – viene "portato fuori" dal centro commerciale, di cui ovviamente continua a fare parte e con il quale è ben collegato. È, però, un po' più defilato. Come, agli albori, si faceva con le attività di ristorazione».Dal canto suo, l’ipermercato si restringe ma diventa anche più specializzato e ricercato, dai vini alla macelleria, offrendo ai clienti una proposta sempre più ampia, variegata e di qualità. Prova a far suo, insomma, ciò che fino a ieri era quasi monopolio dei piccoli negozi specializzati in città. Vi sono, poi, sempre più banchi di degustazione. Non è una novità: il shopville Le Gru di Grugliasco, nel Torinese, lo fa da anni. Del resto, nella ristorazione moderna non s’inventa e si scopre nulla: si tratta, piuttosto, di trovare una formula migliore rispetto a quello che già si sa fare».
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Quale futuro per i centri commerciali? Per gli esperti, i mall nostrani manterranno la prerogativa del food, che sarà sempre in aumento. Ma un ruolo di rilievo avranno anche leisure e intrattenimento. Due segmenti, peraltro, già attivi prima dell’avvento della pandemia. «Dovranno, però, crescere e diversificarsi, andando oltre il mero concetto di cinema multisala – sottolinea Bramati –. Puntellando, per esempio, il centro commerciale con angoli ludici, spazi d'incontro, luoghi per convegni e sfide di gaming, proposte culturali e artistiche».Prosegue, insomma, l’evoluzione dei centri commerciali, sempre più luoghi di aggregazione sociale. Un ripensamento che passa da una ristrutturazione e rivisitazione degli spazi. Senza dimenticare la sfida della sostenibilità. Del resto, il centro commerciale è materia viva, il cui successo dipende dalla sua capacità attrattiva. Questa è basata essenzialmente su:
«Nelle vite di ciascuno di noi, i momenti dedicati al divertimento e al relax sono pochi. Ecco che il centro commerciale offre un'opportunità in tal senso, andando incontro a quel che la gente chiede. Oggi, più che mai, bisogna essere attenti e osservare il presente per interpretare in anticipo il futuro. Questa sensibilità, che viaggia in parallelo all'attenzione alla qualità del prodotto, è fondamentale».
Antenne, dunque, drizzate. Da questo punto di vista, i centri commerciali si sono sempre dati da fare. Nel tempo si sono affermati come luoghi in grado di dare risposte ai bisogni delle persone. Un esempio? I servizi ospitati, sempre più numerosi, come testimoniato dall’apertura di cliniche odontoiatriche e centri medici.Una delle sfide del presente e del futuro prossimo è rappresentata dallo smart working. Il ricorso sempre più corposo al lavoro agile stimola l'evoluzione dei centri commerciali. E contribuisce a trasformarli anche in spazi fruibili da chi opta per il lavoro smart, ma non vuole o non può farlo a casa. Un ripensamento ulteriore che, da un lato, risponde a nuovi stili di vita e abitudini. E, dall’altro, consente al centro commerciale di aumentare la sua attrattività, intercettando target diversi da quelli tradizionali e animando orari in passato meno fruiti.C'è, poi, il capitolo e-commerce. Da questo punto di vista, molti osservatori evidenziano la possibilità che alcune aree dei centri commerciali possano essere dedicati alla cosiddetta logistica dell’ultimo miglio. Il concetto è sempre il medesimo: offrire un servizio in una logica di omnicanalità. Dai locker per il ritiro self service della spesa ordinata online o dei pacchi Amazon al Click & Collect, ovvero la possibilità di ordinare online un prodotto e di ritirarlo in negozio.
Una delle questioni più dibattute e annose riguarda la coesistenza tra centro commerciale ed esercizio di vicinato. Davide può anche qui battere o, perlomeno, difendersi degnamente da Golia? «La risposta è sì – sostiene Bramati –: il negozio di vicinato esiste ed esisterà sempre. Bisogna, però, saperlo gestire bene. Andando, per esempio, a proporre prodotti che il centro commerciale e l'ipermercato non possono offrire. Bisogna puntare sull'unicità, ma anche innovare, metterci fantasia, malizia e coraggio. Un esempio è il fruttivendolo che propone anche verdure già pulite e cotte, pronte all’uso. Occorre, inoltre, aggiungere alla vendita del prodotto, quel "qualcosa in più" che la gente cerca: il suggerimento per il migliore abbinamento, il servizio complementare, un piccolo regalo».In pratica, disegnare l'esperienza di acquisto. Ciò non vale, ovviamente, solo per la ristorazione. Nel retail non è più sufficiente vendere un abito: bisogna offrire anche un servizio sartoria. In buona sostanza, bisogna essere in grado di personalizzare l'acquisto e, così, fidelizzare la clientela. È qui che si riesce a fare la differenza: oggi avere un prodotto di qualità, da solo, non basta».